04.09 21.00 Storiadi un GesuContinuano gli appuntamenti con il Festival delle Nazioni. Giovedì 4 settembre, alle ore 21, ad Anghiari nell'Auditorium Mascagni, un grande omaggio al Genio di Pierpaolo Pasolini con lo spettacolo STORIA DI UN GESÙ, a cura di Guido Barbieri, che sarà anche voce recitante e Fabiana Piersanti.

Accanto a Barbieri ci saranno i solisti dell'Orchestra Filarmonica Vittorio Calamani che eseguiranno musiche di Bach, Nyman e Sollima.

(UNWEB) Città di Castello. Pasolini era un musicista – afferma nel suo saggio Guido Barbieri. Di scarso talento, forse, ma la musica l'aveva dentro di sé. Da sempre. Lo testimonia, ad esempio, una celebre foto che lo ritrae, adolescente, con i calzoni alla zuava, mentre stringe un piccolo violino sotto il braccio destro e tiene l'archetto con le due mani davanti a sé. Studia violino, dunque, anche se la pratica della musica rimane assopita e dormiente durante gli anni del liceo e delle peregrinazioni. Si riaccende però all'improvviso quando nel 1942 Pierpaolo e la madre ritornano, sfollati, a Casarsa, nel vecchio "casolare" di famiglia. Ed è un incontro casuale a risvegliare l'attrazione, se non la vera e propria passione, per il violino. Nel febbraio del 1943 giunge infatti a Casarsa, in una casa distante poche centinaia di metri da quella dei Pasolini, Pina Kalc, una violinista slovena, allora trentenne, appena fuggita da Maribor dopo l'occupazione nazista della città. Durante le centinaia di sere trascorse insieme fino all'estate del 1945 Pina (trasfigurata con molte "libertà" nella Dina di Anni acerbi) fa scoprire a Pier Paolo le Sei Sonate e Partite per violino non accompagnato che Bach compone negli anni di Köthen. Pina invita più volte il suo giovane amico a suonarle insieme a lei, ma lui si ritrae ("Lasci stare, Pina, prenda lei il violino e mi suoni Bach"). Le "sonate" penetrano però letteralmente nel corpo e nella mente di Pasolini che infatti proprio in questo arco di tempo (ha appena ventidue anni!) concepisce un ambizioso e acutissimo Saggio sugli stili di Bach, rimasto per molti anni sconosciuto. In queste pagine accurate e sofferte prende forma – come si sa - la celebre endiadi che sintetizza, secondo Pasolini, le due dimensioni della musica di Bach: da una parte la sua concreta, urgente sensualità e dall'altra la sua astratta, metafisica, religiosità: la carne e il cielo, il corpo e la preghiera, in perenne lotta tra loro. Un conflitto profondo, universale che appartiene alle sue fibre più sincere, e che gli farà dire, in una celebre poesia di Poeta delle Ceneri : "Vorrei essere innanzitutto scrittore di musica".

Entrato nella maturità e approdato al cinema Pasolini conserva per il kantor di Lipsia una attrazione unica ed esclusiva. Come ricorda Roberto Calabretto in uno studio fondamentale, Pasolini inizia ad utilizzare la musica di Bach nelle proprie colonne sonore a partire da Accattone, nel 1961, quando utilizza un frammento della Passione secondo Matteo, in modo del tutto straniante, nella celebre scena della lotta di Accattone contro il suo rivale. Prosegue con il Vangelo secondo Matteo del 1964, e poi con altri tre film di diversa natura: Appunti per un film sull'India e Sequenza del fiore di carta, entrambi realizzati nel 1968, per terminare con Salò o le 120 giornate di Sodoma, il film del congedo, girato nel 1975, l'anno della morte. La passione per Bach rimane intatta negli anni: dei cinquantasette dischi di musica classica che Pasolini possedeva nella sua casa dell'Eur, ben diciassette, la stragrande maggioranza, portano il nome di Johann Sebastian. Ma l'utilizzo più sistematico e coerente della musica di Bach avviene senza dubbio nel Vangelo secondo Matteo.

La genesi del film è nota sin dai dettagli, ma forse non è del tutto inutile ricordarla. All'inizio del 1963 Pasolini viene invitato ad Assisi per un convegno organizzato da Pro Civitate Cristiana. Nella stanza assai spartana che gli viene assegnata trova, nel cassetto del comodino, non la consueta Bibbia, ma una copia dei Vangeli. E per la prima volta legge da capo a fondo il Vangelo secondo Matteo. Una folgorazione: quella Vangelo deve diventare un film. L'idea iniziale è quella di girarlo nei luoghi originari, la Palestina. Ma Alfredo Bini, il produttore, trova il progetto troppo costoso e  complesso. Si decide allora di girarlo nel sud d'Italia, nei luoghi più poveri e abbandonati del Meridione: la Puglia, la Calabria, la Basilicata, una parte del Lazio. Ma ad attirare Pasolini è soprattutto Matera, una città che all'inizio degli anni Sessanta non ha avviato alcun processo di modernizzazione, anzi dove molte famiglie, sebbene non più così numerose come prima della guerra, vivono ancora all'interno dei Sassi. Bini è d'accordo e inizia così la stesura della sceneggiatura, da solo, senza alcun collaboratore. Il progetto ha in sé un seme contraddittorio: la parola evangelica raccontata da uno scrittore laico, non credente, che allora si professava risolutamente marxista. "La mia lettura del Vangelo – scrive ancor prima di accingersi a girare - non poteva che essere la lettura di un marxista, ma contemporaneamente serpeggiava in me il fascino dell'irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo. Io come marxista non posso spiegarlo e non può spiegarlo nemmeno il marxismo. Fino a un certo limite della coscienza, anzi in tutta coscienza, il mio Vangelo è un'opera marxista: non potevo girare delle scene senza che ci fosse un momento di sincerità, intesa come attualità. Infatti, i soldati di Erode come potevo farli? Potevo farli con i baffoni, i denti digrignanti, vestiti di stracci, come i cori dell'opera? No, non li potevo fare così. Li ho vestiti un po' da fascisti e li ho immaginati come delle squadracce fasciste o come i fascisti che uccidevano i bambini slavi buttandoli in aria".

Seguendo questa linea teorica così limpida Pasolini e Bini - con l'aiuto di Elsa Morante, consigliera occulta, ma nemmeno poi tanto, del film – decidono di mettere in piedi un cast eterogeneo: da un parte i volti, i corpi, i gesti degli abitanti autentici di Matera che impersonano sostanzialmente il popolo di Galilea, la turba, si direbbe, ricorrendo al linguaggio delle Passioni id Bach, dall'altro, nelle parti dei personaggi dotati di una marcata identità individuale, non veri e propri attori professionisti, bensì gli amici più stretti e assidui di Pasolini: poeti, scrittori, critici. Non a caso Giovanni Battista è interpretato da Mario Socrate, poeta e ispanista, Andrea da Alfonso Gatto, Filippo da Giorgio Agamben, Simone da Enzo Siciliano, Erode da Francesco Leonetti, Maria di Betania da Natalia Ginzburg. Diverso il caso di Maria da anziana che Pierpaolo affida, con un gesto di altissimo valore simbolico, a Susanna, la madre. Rimane però un vuoto che in apparenza sembra incolmabile: il ruolo di Gesù. Per il suo protagonista Pasolini non vuole in alcun modo un attore professionista e lancia quella che oggi si chiamerebbe una call: pubblica sul settimanale Le Ore un annuncio che recita: "Cercasi Cristo: non tanto alto, bruno col viso semitico, lo sguardo penetrante". Le risposte sono molte e costituiscono un prezioso documento antropologico sulla identità maschile italiana degli anni Sessanta, ma nessun candidato convince il regista. Ad un certo punto accade, letteralmente, un miracolo. Alla porta della sua casa, all'Eur si presenta, accompagnato da Giorgio Manacorda, un giovane studente catalano, Enrique Irazoqui. Enrique è in Italia per cerare finanziamenti e appoggi politici per conto del sindacato degli studenti universitari di Barcellona, una organizzazione clandestina e fuori legge (siamo ai tempi di Franco). Pasolini ascolta distrattamente le parole di quel giovane spagnolo con gli occhi olivastri, la pelle scura, le sopracciglia che si toccano su una fronte alta e spaziosa, perché in un lampo ha capito: quel ragazzo è il suo Gesù. E fa ormai parte della aneddotica pasoliniana la telefonata che subito Pierpaolo fa a Elsa Morante gridando: "Gesù è qui, Gesù è in casa mia". Enrique sulle prime rifiuta la proposta: non è un attorte e non vuole diventarlo. E poi -aggiunge - la Chiesa in Spagna sta dalla parte di Franco e lui non vuole essere un uomo di chiesa, nemmeno in un film. Pasolini lo rassicura che il suo sarà un Gesù marxista, anzi gramsciano, dalla parte dei poveri e degli emarginati e che i Filistei saranno le guardie di Franco. E così, insieme ad una proposta economica irresistibile, lo convince. Le riprese possono dunque iniziare: Matera diventa Gerusalemme.

Il nostro spettacolo non racconta le vita del film, bensì quella del suo protagonista, un Gesù che non è mai esistito, un Gesù con gli occhi d'inchiostro e le sopracciglia nere, nato tra i Sassi di Matera e morto alla fine del film.  Enrique infatti non era un attore, e non lo sarebbe mai stato, anche se il suo volto appare, mai come protagonista, in una decina di film girati in Spagna e in Italia negli anni successivi. E infatti la sua esistenza ha seguito strade assai diverse. Privato del passaporto ed espulso dall'Università per aver partecipato – secondo il regime franchista – ad un film di "propaganda comunista", riesce comunque nel 1969 a raggiungere Parigi, dove si laurea in Economia. E poi, grazie al sostegno di alcuni intellettuali italiani come Elsa Morante e Natalia Ginzburg, si trasferisce negli Stati Uniti dove studia e insegna letteratura spagnola in diverse università. Appassionato di scacchi, giocatore professionista, durante un torneo tra le nazionali di Francia e di Spagna riesce a sconfiggere, al termine di un incontro leggendario, Marcel Duchamp, anch'egli giocatore di alto livello. Negli anni Settanta inizia a sperimentare la tecnica di gioco contro un computer, ma deluso dalle prestazioni dei programmi allora esistenti, perfeziona un dispositivo che consente a due computer di giocare tra loro. Nella seconda metà della sua vita si ritira a Cadaques, in Costa Brava, cittadina famosa per essere stata il buen retiro di Picasso, Dalì e Garcia Lorca, dove continua ad organizzare tornei di scacchi e a coltivare la sua passione profonda per la fotografia. Scompare nel settembre del 2020, a 76 anni di età. Nella finzione del racconto lo troviamo proprio a Cadaques, sotto la veranda del suo amato Bar Maritime, dove incontra un uomo al quale raconterà la sua storia. Quella vera.